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1. Praxis de stratelatis
GLI UFFICIALI DI COSTANTINO
(Praxis de stratelatis o La vicenda dei militari
Inc. Εν τοις καιροις του Βασιλεως Κωνσταντινου ακαταστασια εγενετο εν τη Φρυγια υπο των Ταιφαλων.
1.
Ai tempi dell'imperatore Costantino scoppiò una sommossa in Frigia ad opera dei Taifali, del che fu informato il pio imperatore. Egli dunque inviò subito tre ufficiali, Nepoziano, Urso ed Erpilione, con i rispettivi contingenti militari. Costoro, dopo essere partiti dalla felicissima città di Costantinopoli, arrivarono nella provincia della Licia, nel porto di Andriake, a tre miglia dalla città di Myra. Essendosi sollevata una tempesta e la navigazione non era più favorevole, scesero dalle navi.
2. Scesero dunque a terra anche alcuni soldati che volevano essere pagati per potersi divertire, comprarsi del cibo e che avevano intenzione di fare baldoria. Essi cominciarono a comportarsi in maniera oltraggiosa, alla stregua di soldati e, come tali, venivano anche insultati. Fu così che in località Placoma nacquero dei disordini e si verificò un tumulto che coinvolse anche dei cittadini di Mira che se la presero con quei soldati a motivo della loro indisciplinatezza e rissosità.
3. Il santo vescovo di Dio Nicola, il pastore e maestro della santa chiesa di quel luogo, quando sentì questi fatti, cercò di placare il popolo, esortandolo a non arrivare a commettere eccessi e azioni criminose. Si recò subito personalmente ad Andriake. Quando lo videro, tutti gli abitanti di quel luogo lo venerarono come si conviene.
4. Anche gli ufficiali appresero del suo arrivo e anch'essi lo venerarono e gli fecero dimostrazioni di affetto. Poiché fu loro domandato dal vescovo chi fossero, da dove venivano e per quale motivo si trovavano là, risposero: «Siamo venuti in pace. Siamo stati inviati in Frigia, dal nostro piissimo imperatore per muovere guerra contro i ribelli».
(Praxis de stratelatis o La vicenda dei militari
Inc. Εν τοις καιροις του Βασιλεως Κωνσταντινου ακαταστασια εγενετο εν τη Φρυγια υπο των Ταιφαλων.
1.
Ai tempi dell'imperatore Costantino scoppiò una sommossa in Frigia ad opera dei Taifali, del che fu informato il pio imperatore. Egli dunque inviò subito tre ufficiali, Nepoziano, Urso ed Erpilione, con i rispettivi contingenti militari. Costoro, dopo essere partiti dalla felicissima città di Costantinopoli, arrivarono nella provincia della Licia, nel porto di Andriake, a tre miglia dalla città di Myra. Essendosi sollevata una tempesta e la navigazione non era più favorevole, scesero dalle navi.
2. Scesero dunque a terra anche alcuni soldati che volevano essere pagati per potersi divertire, comprarsi del cibo e che avevano intenzione di fare baldoria. Essi cominciarono a comportarsi in maniera oltraggiosa, alla stregua di soldati e, come tali, venivano anche insultati. Fu così che in località Placoma nacquero dei disordini e si verificò un tumulto che coinvolse anche dei cittadini di Mira che se la presero con quei soldati a motivo della loro indisciplinatezza e rissosità.
3. Il santo vescovo di Dio Nicola, il pastore e maestro della santa chiesa di quel luogo, quando sentì questi fatti, cercò di placare il popolo, esortandolo a non arrivare a commettere eccessi e azioni criminose. Si recò subito personalmente ad Andriake. Quando lo videro, tutti gli abitanti di quel luogo lo venerarono come si conviene.
4. Anche gli ufficiali appresero del suo arrivo e anch'essi lo venerarono e gli fecero dimostrazioni di affetto. Poiché fu loro domandato dal vescovo chi fossero, da dove venivano e per quale motivo si trovavano là, risposero: «Siamo venuti in pace. Siamo stati inviati in Frigia, dal nostro piissimo imperatore per muovere guerra contro i ribelli».
Il santo vescovo li pregò di andare con lui in città. Dunque, gli ufficiali, dopo aver onorato l'arrivo del santo e la sua bontà, ordinarono ai soldati di starsene tranquilli e che nessuno osasse maltrattare qualcuno o fare qualcosa di sconsiderato.
5. Mentre vi si recavano, alcuni giunti dalla città si gettarono ai piedi di questo santo e gli dissero: «Signore, se tu fossi in città, non ci sarebbero tre morti senza causa. Infatti il governatore, poiché ha subito un insulto, ha ordinato di passare tre uomini a fil di spada. Tutta la città si è addolorata non poco, perché tu non eri presente là».
5. Mentre vi si recavano, alcuni giunti dalla città si gettarono ai piedi di questo santo e gli dissero: «Signore, se tu fossi in città, non ci sarebbero tre morti senza causa. Infatti il governatore, poiché ha subito un insulto, ha ordinato di passare tre uomini a fil di spada. Tutta la città si è addolorata non poco, perché tu non eri presente là».
6. Quando sentì questi fatti, il santissimo vescovo si addolorò. E dopo aver chiamato subito presso di sé i generali, si affrettò con loro nella città. Giunto nel luogo chiamato Leone, chiese ai presenti se coloro che erano stati condannati a morte fossero ancora vivi. Gli fu risposto che quelli erano ancora vivi e che si trovavano nella piazza presso i cosiddetti Dioscuri. Allora egli, dopo essersi recato al tempio dei santi Crescenzo e Dioscoride e dopo aver chiesto di nuovo, seppe che ora gli uomini stavano già sul punto di uscire dalla porta della città. Quando il santo giunse alla porta, quelli del quartiere gli dissero che i condannati erano andati a Berrà. Questo infatti era il luogo dove solitamente si eseguivano le punizioni e le condanne a morte.
7. Il santo accorse subito e trovò là molta folla e il carnefice che teneva la spada in mano per uccidere gli uomini e aspettava il suo arrivo. Dunque, quando questo sant'uomo giunse, vide i tre uomini che stavano per essere giustiziati con le teste avvolte nei sudari, in ginocchio e con il collo in attesa del fendente. Il santo accorse rapidamente e, dopo aver strappato la spada alla guardia, la gettò lontano. Poi sciolse gli uomini dalle catene e li condusse in città, dicendo: «Io sono pronto a morire al posto di questi innocenti».
Nessuna delle guardie armate aveva il coraggio di opporglisi o di contraddirlo, conoscendo la sua religiosità e il suo giudizio imparziale. E avvenne effettivamente secondo la scrittura: «Un giusto ha fiducia in se stesso, come un leone».
8. Giunto al pretorio, il santo ruppe le porte. Il governatore Eustazio, quando sentì dalla sua sentinella l'arrivo del santo, venne velocemente a venerarlo. Ma quello lo respinse, dicendogli ciò che si meritava, chiamandolo ladro, sacrilego e sanguisuga, iniquo e nemico di Dio; poi gli disse: «Ed osi anche venire al mio cospetto, tu che non hai timor di Dio e che avevi intenzione di uccidere crudelmente degli innocenti! Poiché hai fatto tali e tante scelleratezze non ti userò riguardo. Agli ingiusti Dio manda vie tortuose. Il piissimo imperatore conosce le tue colpe: come governi, come saccheggi questa provincia uccidendo uomini contro la legge e senza giudizio, per avidità e funesto guadagno».
9. Il governatore cadde in ginocchio e lo pregò: «Non adirarti contro di me, signore, padre! Sappi che non sono io il colpevole, ma i primati della città Eudossio e Simonide, che si posero come accusatori contro quegli uomini!».
Ma il vescovo ribattè: «Non Eudossio e Simonide, ma, in verità, Crisaffio (=Oro) e Argiro (=Argento) ti corruppero col denaro e ti persuasero ad arrivare a queste nefandezze».
Era infatti risaputo che il governatore aveva preso duecento libbre d'oro per uccidere malvagiamente quegli uomini. Il sant'uomo, pregato molto dagli ufficiali, perdonò l'errore al governatore e passò sopra all'ingiustizia da lui commessa contro i predetti tre uomini.
10. Gli ufficiali, dopo aver banchettato insieme col santissimo vescovo, gli chiesero di dire una preghiera per loro. Dopo aver ricevuto benedizione da lui e dopo avergli detto addio, partirono da quel luogo. Essi giunsero in Frigia e pacificarono quella contrada, poiché tolsero di mezzo tutti i ribelli e i facinorosi. E dopo aver operato a favore della loro patria riportando la pace, tornarono alla felicissima città di Costantinopoli. E fu un grande andar loro incontro, da parte dei soldati, degli opliti del luogo e di quasi tutta la comunità, portando loro premi per la vittoria e trofei. Ed essi si prostrarono ai piedi dell'imperatore e annunziarono che la pace era tornata in quella regione. E così furono onorati gloriosamente nel palazzo.
11. Ma, ad opera del diavolo, nacque dell'invidia contro di loro da parte di altri comandanti militari. Questi persuasero il prefetto Ablabio che quelli tramavano insidie contro la sua carica. Gli facevano discorsi di pace nella simulazione e nell'inganno: «Se colgono l'occasione favorevole - dicevano - allora si manifesterà la loro malvagità. Perciò è meglio eliminare la fallace convinzione del fatto che stiamo in pace. Vi abbiamo dunque messo al corrente di questo, affinché poniate mente alla situazione secondo la vostra saggezza e in segreto, prima che se ne accorgano, riferiate tutta la faccenda all'imperatore, affinché li metta subito a morte, senza chiasso».
Dopo aver detto queste parole, gli promisero che gli avrebbero fatto anche un dono: settecentomila libbre d'oro.
12. Il prefetto, udite queste parole, dopo che fu rassicurato da quelli sul dono pattuito, andò dall'imperatore e gli disse: «Sire, imperatore, poiché governi l'impero piamente e cristianamente, e poiché il mondo intero vive in pace nei tempi del tuo regno, il diavolo ha provato invidia per tanto bene ed ha eccitato contro di noi dei nemici in casa. Infatti egli è penetrato nei cuori degli ufficiali che sono andati e tornati dalla Frigia. Essi tramano un intrigo contro il tuo potere, per insorgere contro il tuo pacifico regno e si sono accordati con altri a questo scopo, hanno fatto delle promesse e procurano avanzamenti di cariche, elargizioni e abbondanza di ricchezze. Dunque il diavolo, ostile e nemico della nostra pace, si preoccupa di portare a segno queste insidie, per mezzo dei suoi servi. Ma Dio, amante degli uomini, il Signore del tuo pio regno, che si prende cura di tutta la stirpe degli uomini, non ha permesso che il complotto rimanesse nascosto per molto tempo e ha messo nel cuore di alcuni che avevano compreso la congiura l'idea di venire da me e di aver fiducia in me, riguardo alla faccenda di questa impresa. Io dunque, sapute queste cose, non ho potuto tacere, temendo la giustizia di Dio e la minaccia del tuo sdegno e ho riferito ogni cosa alla tua divinissima, somma potenza, affinché tu faccia ciò che il cuore ti detta».
13. L'imperatore, quando udì questo racconto, si adirò subito, soprattutto perché l'intrigo era stato meditato contro di lui ed il suo regno. Poiché ritenne che il governatore avesse detto la verità, subito all'istante, ordinò che i tre generali fossero gettati in prigione, incatenati senza indagini. Avvenne, infatti, per disegno della Divina Provvidenza, che egli in quei giorni fosse troppo occupato in cose necessarie.
14. Dopo che fu trascorso del tempo, quei nemici della verità che avevano accusato i tre, andarono dal prefetto a portargli il denaro offertogli e a sollecitarlo affinché si battesse per la morte di quegli uomini, dicendo: «Per quale motivo avete permesso che quelli vivessero fino ad ora e non fossero uccisi tutti subito? Infatti continuando a vivere, anche se stanno in prigione, possono essere liberati e prosciolti, grazie all'adoperarsi di alcuni loro amici. Si scoprirà che noi ci siamo preoccupati per la pace senza motivo».
15. Dunque il prefetto, spinto da quelli, andò dall'imperatore e disse: «Sire, noi abbiamo lasciato vivere ancora quei rei che hanno tramato contro il tuo potere. Perciò essi non hanno cessato di meditare insidie, poiché fuori hanno dei complici, sicché hanno studiato i piani con più acutezza».
L'imperatore, quando sentì che quelli, pur stando in prigione, stavano continuando a macchinare contro di lui, ordinò che durante la notte fossero uccisi con la spada. Dunque il prefetto, ricevuto l'ordine, mandò a dire al custode del carcere: «Preparami i tre uomini che tieni in prigione, perché devono essere uccisi durante la notte».
16. Il custode della prigione, Ilarione, quando sentì, si addolorò molto e, tra le lacrime, disse ai tre generali: «Onorevoli uomini, miei signori, paura e timore mi hanno invaso e temo per la vostra triste condizione e ho anche paura di rivelarvela, ma la necessità mi spinge a manifestarla. Oh, se non vi avessi mai conosciuti! Io mi addoloro e mi angustio ancora di più, parlando con voi, per il fatto che veniamo ormai divisi gli uni dagli altri, perché è stato ordinato che voi moriate durante la notte. Se dunque vi sembra opportuno tentare qualcosa per la vostra sorte, consultatevi e tenetevi pronti. Io vi ho messo al corrente dei fatti che mi sono stati resi noti dal prefetto ».
17. All’udire quelle parole, quelli piansero amaramente, si lacerarono le vesti e si strapparono i capelli. E dopo aver mangiato la polvere, gridavano piangendo, in ambascia per la morte imprevista e dicevano: «Qual è la nostra colpa, quale il nostro delitto, perché dobbiamo morire così improvvisamente, senza processo, senza essere stati chiamati neanche in giudizio o ad essere interrogati, come si fa comunemente, persino con i volgari delinquenti?».
18. Uno di loro, allora, Nepoziano, si ricordò del fatto che san Nicola, il vescovo della città di Myra, aveva salvato i tre uomini che ormai stavano sul punto di essere uccisi e disse, gemendo con molte lacrime e lamenti: «Signore, Iddio del tuo servo Nicola, abbi compassione di noi, in grazia della tua misericordia e dell'intercessione del tuo santo servo Nicola. E come, grazie a lui, hai provato compassione per quei tre uomini condannati senza motivo e li hai salvati dalla morte, così ora ridai la vita anche a noi, impietosito dalle intercessioni di questo tuo santo vescovo. Crediamo infatti che egli, anche se non è presente col corpo, lo è con lo spirito e, vedendo la nostra pena e l'affanno dell'anima nostra, egli stesso pregherà per noi la tua bontà».
19. Poi tutti insieme essi gridarono: «San Nicola, anche se tu sei lontano da noi, tuttavia ti è vicina la nostra preghiera! Invoca per noi Dio che ama gli uomini! Infatti Egli farà la volontà di coloro che lo temono e ascolterà la loro preghiera. Fa sì che noi, salvati per mezzo della tua intercessione dal pericolo che ci sovrasta, possiamo essere ritenuti degni di venire al tuo cospetto, per venerare la tua santità, padre onorato!».
Con queste parole i tre rivolgevano la loro preghiera a Dio, come da una sola bocca, non disperando di ottenere aiuto e protezione dal cielo.
20. Per grazia di Dio, san Nicola, poiché ha compassione di tutti e si presenta subito innanzi a coloro che lo cercano con tutto il cuore, per proteggerli, e glorifica sempre coloro che lo glorificano e salva gli umili di spirito, san Nicola dunque, quella notte, apparve all'imperatore e gli disse: «Costantino, alzati e libera i tre ufficilai che tieni in prigione, perché vi furono gettati ingiustamente. Se non mi obbedisci, ti muoverò una guerra nel Dorrachio e darò in pasto i tuoi resti alle fiere e agli uccelli, dopo aver conferito contro di te con il gran re Cristo».
L'imperatore disse: «Chi sei tu, e come sei entrato così nel mio palazzo a quest'ora?».
La voce gli disse: «Io sono Nicola, il vescovo peccatore, che sta a Myra, città della Licia».
E dopo aver detto ciò il santo se ne andò.
21. Dopo essersi allontanato, apparve al prefetto e gli disse:
Ablabio, sconvolto nella mente e nel cuore, alzati e libera i tre ufficiali che tieni in prigione e che vuoi uccidere a causa della tua brama di denaro. Se non decidi di liberarli, conferirò contro di te con il gran re Cristo; allora, dopo essere stato colpito da una grave malattia, sarai cibo di vermi e tutta la tua casa andrà malamente in rovina».
Il prefetto disse: «Chi sei tu che dici queste cose?».
Il santo rispose: «Io sono Nicola, il vescovo peccatore della città di Myra».
E, dopo aver detto queste parole, se ne andò.
22. Destatosi, l'imperatore chiamò il suo corriere più celere e gli disse:
«Va', riferisci al al prefetto ciò che ho visto in sogno»; e gli disse ciò che aveva visto. Ugualmente anche il governatore mandò il suo corriere, per riferire all'imperatore la sua visione. Venuto dunque il mattino, l'imperatore ordinò che i tre ufficiali fossero condotti dinanzi a lui, alla presenza dell'assemblea e del governatore.
23. Quando quelli si presentarono, l'imperatore disse loro: «Ditemi, usando quali magie, mi avete mandato tali sogni?».
Quelli tacevano. Interrogati di nuovo, rispose per tutti Nepoziano: «Sire, imperatore, noi non ci intendiamo di magia. Se si troverà che abbiamo commesso il reato di cui siamo accusati o che abbiamo concepito qualche altra malvagità ai danni del tuo potere, periremo, o signore, della pena capitale».
24.L'imperatore chiese loro: «Conoscete un tale chiamato Nicola?».
Quelli, all’udire il nome di Nicola, esultarono e dissero: «Signore Dio di san Nicola, tu che allora salvasti, tramite il santo, coloro che stavano per morire ingiustamente, anche ora hai allontanato da noi innocenti i mali che ci attendevano».
Di nuovo l'imperatore disse: «Ditemi chi è questo Nicola e se è superiore a voi per nascita».
Allora Nepoziano raccontò chi era, come operava, il miracolo che aveva fatto davanti ai loro occhi e gli riferì come aveva salvato dalla morte i tre uomini. E aggiunse: «Noi, signore, ora, in questa nostra necessità e pena, abbiamo invocato le sue sante preghiere e lo abbiamo pregato di intercedere per noi presso Dio misericordioso».
25. Allora l'imperatore disse: «Orsù dunque, siate liberi e rendete grazie a quest'uomo. Non io infatti vi concedo la vita, ma Dio e questo Nicola che avete invocato. Andate quindi da lui, tagliatevi i capelli che vi siete fatti crescere in prigione, ringraziatelo e ditegli come vi dico: 'Ecco, ho eseguito il tuo ordine. Non respingermi, ma prega per me e per il mio regno, facendo preghiere per la pace dell'impero al padrone di ogni cosa e Signore Iddio».
E diede loro doni preziosi: un Vangelo d'oro, due candelabri d'oro ed un altro vaso d'oro, ornato di pietre preziose da portare a quel sant'uomo, insieme anche a delle lettere.
La voce gli disse: «Io sono Nicola, il vescovo peccatore, che sta a Myra, città della Licia».
E dopo aver detto ciò il santo se ne andò.
21. Dopo essersi allontanato, apparve al prefetto e gli disse:
Ablabio, sconvolto nella mente e nel cuore, alzati e libera i tre ufficiali che tieni in prigione e che vuoi uccidere a causa della tua brama di denaro. Se non decidi di liberarli, conferirò contro di te con il gran re Cristo; allora, dopo essere stato colpito da una grave malattia, sarai cibo di vermi e tutta la tua casa andrà malamente in rovina».
Il prefetto disse: «Chi sei tu che dici queste cose?».
Il santo rispose: «Io sono Nicola, il vescovo peccatore della città di Myra».
E, dopo aver detto queste parole, se ne andò.
22. Destatosi, l'imperatore chiamò il suo corriere più celere e gli disse:
«Va', riferisci al al prefetto ciò che ho visto in sogno»; e gli disse ciò che aveva visto. Ugualmente anche il governatore mandò il suo corriere, per riferire all'imperatore la sua visione. Venuto dunque il mattino, l'imperatore ordinò che i tre ufficiali fossero condotti dinanzi a lui, alla presenza dell'assemblea e del governatore.
23. Quando quelli si presentarono, l'imperatore disse loro: «Ditemi, usando quali magie, mi avete mandato tali sogni?».
Quelli tacevano. Interrogati di nuovo, rispose per tutti Nepoziano: «Sire, imperatore, noi non ci intendiamo di magia. Se si troverà che abbiamo commesso il reato di cui siamo accusati o che abbiamo concepito qualche altra malvagità ai danni del tuo potere, periremo, o signore, della pena capitale».
24.L'imperatore chiese loro: «Conoscete un tale chiamato Nicola?».
Quelli, all’udire il nome di Nicola, esultarono e dissero: «Signore Dio di san Nicola, tu che allora salvasti, tramite il santo, coloro che stavano per morire ingiustamente, anche ora hai allontanato da noi innocenti i mali che ci attendevano».
Di nuovo l'imperatore disse: «Ditemi chi è questo Nicola e se è superiore a voi per nascita».
Allora Nepoziano raccontò chi era, come operava, il miracolo che aveva fatto davanti ai loro occhi e gli riferì come aveva salvato dalla morte i tre uomini. E aggiunse: «Noi, signore, ora, in questa nostra necessità e pena, abbiamo invocato le sue sante preghiere e lo abbiamo pregato di intercedere per noi presso Dio misericordioso».
25. Allora l'imperatore disse: «Orsù dunque, siate liberi e rendete grazie a quest'uomo. Non io infatti vi concedo la vita, ma Dio e questo Nicola che avete invocato. Andate quindi da lui, tagliatevi i capelli che vi siete fatti crescere in prigione, ringraziatelo e ditegli come vi dico: 'Ecco, ho eseguito il tuo ordine. Non respingermi, ma prega per me e per il mio regno, facendo preghiere per la pace dell'impero al padrone di ogni cosa e Signore Iddio».
E diede loro doni preziosi: un Vangelo d'oro, due candelabri d'oro ed un altro vaso d'oro, ornato di pietre preziose da portare a quel sant'uomo, insieme anche a delle lettere.
26. Dunque dopo aver preso tutte queste cose, i tre ufficiali giunsero in Licia e, dopo aver venerato il santo, gli narrarono le vicende che erano loro accadute e gli diedero le lettere dell'imperatore e i doni preziosi; si tagliarono i capelli e fecero elemosine ai poveri, traendole dai propri beni. Il santissimo vescovo Nicola gioì per loro, li benedisse e li congedò con ammonimenti e benedizioni. Così dunque, dopo aver pregato e avergli detto addio, questi tre uomini tornarono a casa esultando, dopo aver glorificato il buon Dio per la loro insperata salvezza. A lui è la gloria e il potere, nei secoli dei secoli. Amen.
(traduzione dal greco di Maria Teresa Bruno)
Recensione II
Bodlejano Baroccianus Gr 174 (sec. XI), ff. 220-223
Bodlejanus Arch Selden, supra 9, sec. XIII, ff. 87-101
Vaticanus Gr. 824 (sec. XI), ff. 165-169.
Chalcensis Gr. 62 (sec. XIV), ff. 25-28
Recensione III
Bodlejano Laudianus Gr. 69 (sec. X-XI), ff. 93-99
Parisino- Coislinianus 105 (sec. XII), ff. 81-86
Vindobonensis hist. Gr. 31 (sec. XII – XIII), ff. 74-79
OSSERVAZIONI
NB. Recensione I e II contenutisticamente collimano. La III presenta delle novità. La IV e la V sono miste. Novità della III: (1) Gli ufficiali mandano due soldati (§ 6, απεστειλαν δυο στρατιωτας, Anrich I, p. 84) con S. Nicola ad impedire la decapitazione, (2), dopo la guerra ai Taifali gli ufficiali passano nuovamente a salutare S. Nicola (§ 10, Anrich, I, 86), (3) il quale predice le disgrazie cui vanno incontro (§ 10, ως οτι μελλουσι κινδυνευειν, Anrich I, 86), (4) morte di Ablavio per febbre violenta, tre giorni dopo che è tornato a casa e si è messo a letto (§ 26, πυρετω δε σφοδροτατω ληφθεις τη τριτη ημερα εξεψυσεν, Anrich I, 90), [in realtà Ablavio fu ucciso nel 338 in Bitinia per ordine di Costanzo(5) conclusione più estesa.
Le tre recensioni dipendono dall’archetipo originale. Il confronto col frammento di Eustrazio non aiuta perché proprio in quel punto le tre recensioni differiscono di poco. Le elaborazioni latine sono quelle di Giovanni Diacono (880), Mombritius, Sanctuarium, II, pp. 302-305, Falconio, pp. 119-122. Falconio è più vicino al testo greco, Mombrizio offre un sensibile ampliamento retorico. Per una elaborazione siriaca vedi P. Bedjan, Acta Martyrum et Sanctorum syriace, IV (1894), pp. 290-302, che stampa il ms British M. add. 12174 (qui i nomi dei generali sono Pythinus, Arson e Adpaldon, e in conclusione quando portano i doni dell’imperatore restano da Nicola parecchi anni conducendo fino alla morte vita virtuosa). Questa conclusione corrisponde anche al Passionario romano, curiosamente sfuggito all’Anrich. Il testo importantissimo in latino, è anche la prima versione integrale della storia degli stratelati. Quindi, benché in latino, la più vicina all’originale greco. Karl Meisen pubblica questa “Stratelatengeschichte” dai codici Augiensis XXXII (Landesbibliothek in Karlsruhe), ff. 32-33 e Palatinus Latinus 846 (Bibl. Vaticana), ff. 139-140v., il primo inizi, il secondo fine IX secolo. Essi non riproducono il Passionario Romano di cui parla Gregorio Magno (Lettera a Eulogio) del VI secolo, ma certamente quello della metà del VII secolo. Cfr. Albert Dufourcq, Le Passionnaire occidental au VII siècle, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire, XXVI (1906) Paris, Rome pp. 27-65.
PRAXIS DE STRATELATIS
Εν τοις καιροις του Βασιλεως Κωνσταντινου ακαταστασια εγενετο εν τη Φρυγια υπο των Ταιφαλων.
Anrich I, 66-91 e 91-96 (appendici I-II)
In oltre 50 mss staccati dalle Vite del Santo
Εν τοις καιροις του Βασιλεως Κωνσταντινου ακαταστασια εγενετο εν τη Φρυγια υπο των Ταιφαλων.
Anrich I, 66-91 e 91-96 (appendici I-II)
In oltre 50 mss staccati dalle Vite del Santo
Codici:
Recensione I
Recensione I
- Lipsiensis Bibl. Senat., Rep. II/26 (sec. X-XI), ff. 69-73
- Neapolitanus Gr II C 26 (sec. XI), ff. 215-219
- Ottoboniano-Vaticanus 1 (sec. XI), ff. 81-84
- Parisinus Gr 683 (sec. X), 194-218
- Vaticanus Pii II 22 (sec. X-XI), ff. 7-13
- Vaticanus Gr 2000 (sec. X), ff. 71-75
- Vaticanus Gr. 1641 (sec. X-XI), ff. 76-79
- Vaticanus Gr 1673 (sec. XI). f. 186-188
Recensione II
Bodlejano Baroccianus Gr 174 (sec. XI), ff. 220-223
Bodlejanus Arch Selden, supra 9, sec. XIII, ff. 87-101
Vaticanus Gr. 824 (sec. XI), ff. 165-169.
Chalcensis Gr. 62 (sec. XIV), ff. 25-28
Recensione III
Bodlejano Laudianus Gr. 69 (sec. X-XI), ff. 93-99
Parisino- Coislinianus 105 (sec. XII), ff. 81-86
Vindobonensis hist. Gr. 31 (sec. XII – XIII), ff. 74-79
SOMMARIO DEI CAPITOLI
- Costantino invia in Frigia i generali Nepoziano, Urso ed Erpilion per domare una rivolta del contingente dei Taifali.
- Dei soldati scesi ad Andriake provocano una rivolta nel villaggio di Placoma
- Nicola calma il popolo e si reca ad Andriake
- Nicola incontra i generali e li invita a Mira. Essi ordinano ai soldati la calma
- Alcuni lo incontrano per via e gli dicono dei tre innocenti condannati dal governatore
- Con i generali corre a Mira, ove nel luogo detto Leone apprende che i condannati erano nella piazza dei Dioscuri. All’uscita della chiesa di Crescenzo e Dioscoride appura che stanno uscendo dalla porta della città. Alla porta gli dissero che erano a Berra
- Giunto sul posto il Santo strappa la spada dalle mani del carnefice
- Giunto al pretorio, il governatore Eustazio gli rende omaggio ma Nicola gli rivolge aspre parole e minaccia di informare l’imperatore
- Eustazio accusa Eudossio e Simonide che avevano accusato i 3 innocenti. Ma Nicola dice che sono stati Crisaffio (oro) e Argiro (argento). I generali gli chiedono di perdonarlo
- Pranzo dei generali con Nicola. Poi in Frigia sedano la rivolta. Ritorno trionfale a Costantinopoli
- Altri generali invidiosi convincono il prefetto Ablavio che quelli tramano un rivolta. Gli promettono i dono anche 700.000 libbre d’oro
- Il prefetto riferisce a Costantino che i tre tramano intrighi, cosa che gli è stata riferita
- Costantino li mette in prigione senza processo
- I generali invidiosi offrono denaro ad Ablavio per fare mettere a morte Nepoziano e gli altri
- Ablavio convince Costantino a condannare a morte i 3 rei di complotto anche dal carcere
- Tra il pianto, il carceriere Ilarione rivela ai tre la sentenza di morte all’alba
- Pianto dei tre generali che proclamano la loro innocenza
- Nepoziano ricorda l’intervento in extremis di S. Nicola e prega Dio che per sua intercessione vengano salvati
- Tutti e tre pregano S. Nicola
- Nicola appare in sogno a Costantino e minacciosamente gli ordina di liberare i tre generali innocenti. Rivela la sua identità.
- Stessa apparizione e ordine ad Ablavio. Se non obbedisce sarà cibo di vermi
- Costantino fa riferire ad Ablavio l’accaduto e viceversa. Chiamano i tre generali.
- Costantino li interroga su qualche magia usata. Nessuna magia, risponde Nepoziano.
- Costantino chiede chi sia Nicola. Nepoziano racconta la storia dei tre miresi salvati all’ultimo momento.
- “Siete liberi”, dice Costantino, “tagliatevi i capelli che vi siete fatti crescere in prigione”. Portate a Nicola questi doni: Vangelo d’oro, 2 candelabri d’oro, vaso d’oro con pietre preziose
- I generali portano a Nicola le lettere e i doni dell’imperatore. Si tagliano i capelli. Fanno doni ai poveri. Benedizione di S. Nicola.
OSSERVAZIONI
NB. Recensione I e II contenutisticamente collimano. La III presenta delle novità. La IV e la V sono miste. Novità della III: (1) Gli ufficiali mandano due soldati (§ 6, απεστειλαν δυο στρατιωτας, Anrich I, p. 84) con S. Nicola ad impedire la decapitazione, (2), dopo la guerra ai Taifali gli ufficiali passano nuovamente a salutare S. Nicola (§ 10, Anrich, I, 86), (3) il quale predice le disgrazie cui vanno incontro (§ 10, ως οτι μελλουσι κινδυνευειν, Anrich I, 86), (4) morte di Ablavio per febbre violenta, tre giorni dopo che è tornato a casa e si è messo a letto (§ 26, πυρετω δε σφοδροτατω ληφθεις τη τριτη ημερα εξεψυσεν, Anrich I, 90), [in realtà Ablavio fu ucciso nel 338 in Bitinia per ordine di Costanzo(5) conclusione più estesa.
Le tre recensioni dipendono dall’archetipo originale. Il confronto col frammento di Eustrazio non aiuta perché proprio in quel punto le tre recensioni differiscono di poco. Le elaborazioni latine sono quelle di Giovanni Diacono (880), Mombritius, Sanctuarium, II, pp. 302-305, Falconio, pp. 119-122. Falconio è più vicino al testo greco, Mombrizio offre un sensibile ampliamento retorico. Per una elaborazione siriaca vedi P. Bedjan, Acta Martyrum et Sanctorum syriace, IV (1894), pp. 290-302, che stampa il ms British M. add. 12174 (qui i nomi dei generali sono Pythinus, Arson e Adpaldon, e in conclusione quando portano i doni dell’imperatore restano da Nicola parecchi anni conducendo fino alla morte vita virtuosa). Questa conclusione corrisponde anche al Passionario romano, curiosamente sfuggito all’Anrich. Il testo importantissimo in latino, è anche la prima versione integrale della storia degli stratelati. Quindi, benché in latino, la più vicina all’originale greco. Karl Meisen pubblica questa “Stratelatengeschichte” dai codici Augiensis XXXII (Landesbibliothek in Karlsruhe), ff. 32-33 e Palatinus Latinus 846 (Bibl. Vaticana), ff. 139-140v., il primo inizi, il secondo fine IX secolo. Essi non riproducono il Passionario Romano di cui parla Gregorio Magno (Lettera a Eulogio) del VI secolo, ma certamente quello della metà del VII secolo. Cfr. Albert Dufourcq, Le Passionnaire occidental au VII siècle, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire, XXVI (1906) Paris, Rome pp. 27-65.
Troppo preso dagli aspetti filologici, a proposito degli “Stratelati” Anrich trascura due particolari per me decisivi:
- L’agiografo antico conosce la storia politica del tempo di Nicola in un modo che non sarebbe mai stato possibile ad uno scrittore posteriore. Solo uno scrittore coevo poteva conoscere la rivolta del contingente dei Taifali in Frigia nonché i complotti di corte che giravano intorno alla persona di Nepoziano (tanto è vero che lo stesso Nepoziano o un suo omonimo figlio si autoproclamò imperatore per un mese alla morte di Costanzo). In altri termini, a prescindere dallo schieramento politico (a favore di Nepoziano e contro Ablavio), lo scrittore era in confidenza con quell’ambiente. Ablavio è descritto proprio come lo rappresentano gli storici minori Zosimo ed Eunapio, scrittori noti solo agli storici di professione e non agli agiografi medioevali. Soffermarsi pagine e pagine sulla presenza di termini militari non in uso nel IV secolo è inaccettabile. Si sa che i copisti posteriori “aggiornavano” il linguaggio per rendersi comprensibili ai lettori. Tanto più che, a parte il frammento di Eustrazio, gli altri testi sono del VII secolo o secoli dopo. E’ ovvio che il linguaggio non riflette più quello del IV secolo.
- Il frammento di Eustrazio, la cui autenticità nessuno mette in dubbio e la cui importanza è esaltata anche dall’Anrich, è fondamentale. Anche qui l’Anrich si sofferma su aspetti secondari che lo portano ad affermare che il testo riportato da Eustrazio va datato al VI secolo. Se per un istante avesse messo fra parentesi i suoi interessi filologici e fosse passato all’analisi ideologica del testo, avrebbe capito che il Bios a cui fa riferimento Eustrazio dev’essere necessariamente del IV o al massimo V secolo. Domandiamoci infatti perché Eustrazio cita il testo nicolaiano. Il suo scopo era di dimostrare la tesi che le anime anche dopo la morte agiscono. La validità della dimostrazione dipendeva unicamente dall’autorevolezza del testo addotto come prova. Ora da che cosa poteva derivare l’autorevolezza della “Praxis de stratelatis” se non dal fatto che essa o il Bios che la conteneva fosse antico e consacrato dalla tradizione ? Un testo “moderno” (cioè del VI secolo) non avrebbe avuto alcuna importanza per dimostrare la sua tesi. Non solo. Ma il culto di S. Nicola doveva essere già solidamente attestato, altrimenti un testo moderno per di più anonimo e su un santo soltanto locale avrebbe fatto sorridere l’avversario della tesi sostenuta.