ALLEGATI
SAGGI STORICI
I DATI BIOGRAFICI
La nostra conoscenza della figura storica di san Nicola è fondata su un certo numero di fonti scritte, oltre ad alcuni manufatti lapidei, di avorio o sigilli. Tra queste fonti la più importante è la PRAXIS DE STRATELATIS, il cui nucleo originario (Urtext) risale al quarto secolo, a circa un decennio dopo la mporte del Santo, mentre la più antica redazione (pervenutaci in parecchi manoscritti del X secolo) risale al V-VI secolo.
Questo racconto, forse parte di una Vita del Santo non pervenutaci (alla quale fa riferimento verso la fine del VI secolo Eustrazio di Costantinopoli), è composto di due episodi interconnessi. Nel primo l’autore mostra una grande familiarità con la conformazione della città di Mira, attraversata da San Nicola per andare a salvare degli innocenti che stavano per essere decapitati. Nel secondo san Nicola ha a che fare con tre protagonisti della storia del tempo: l’imperatore Costantino che si trova a Costantinopoli (quindi siamo in un anno successivo al 330), il prefetto Ablabio che appare nella luce sinistra datagli dagli storici pagani, e Nepoziano che una quindicina d’anni dopo si sarebbe autoproclamato imperatore morendo tragicamente.
In questa Praxis san Nicola parlando all’imperatore si qualifica come vescovo della città di Mira, ma non è specificato da quando, e quindi non si può neppure sapere con certezza se lo fosse già negli anni della persecuzione di Diocleziano. Non è improbabile che ne sia stato anch’egli vittima, almeno a giudicare dal fatto che nel 312 i cittadini della vicina Arycanda ottengono dall’imperatore Massimino di poter colpire i cristiani nei loro interessi vitali. Cosa che è attestata da una epigrafe lapidea che ci è pervenuta.
E’ molto probabile che sia intervenuto personalmente al concilio indetto dall’imperatore Costantino nel 325 nella città di Nicea al fine di risolvere il contenzioso fra il vescovo di Alessandria, Alessandro, ed il prete Ario, sulla natura di Gesù Cristo come figlio di Dio. Il conflitto stava lacerando la chiesa del tempo. Dato che non ci è pervenuta alcuna lista dei partecipanti a quel concilio, la certezza assoluta al riguardo non si può avere. Il suo nome non compare nelle liste più antiche, composte di circa 200 nomi, mentre comincia ad essere inserito nel VI secolo quando le liste si fanno più complete, raggiungendo i 300 nomi, cifra decisamente più consona alla realtà (come risulta dalla stragrande maggioranza degli scrittori coevi). Il suo nome compare, ad esempio, nella lista greca di Teodoro il Lettore (520 circa dC) che non fa che riprodurre quella introdotta dallo storico Socrate e poi sospesa e che a sua volta era stata ricavata dal Synodikon di Atanasio.
L’immagine di Nicola che si ricava da questi più antichi documenti è quella di un vescovo dalla grande sollecitudine pastorale. Per salvare tre innocenti dalla decapitazione non esita a fermare il carnefice e ad affrontare coraggiosamente il preside di Mira, Eustazio che, essendosi fatto corrompere, ha emesso una condanna a morte. A meno di una improbabile coincidenza, proprio l’anno dello scontro fra Nicola ed il preside di Mira, il prefetto Ablabio chiedeva all’imperatore chiarimenti sull’autorità dei vescovi nelle cause penali. Ci è pervenuta infatti la risposta di Costantino, poi confluita nel Codice Teodosiano, nel senso che va data fiducia ed autorità al vescovo.
All’episodio hanno assistito i tre comandanti (Nepoziano, Ursone ed Erpilione) inviati da Costantino a domare una ricolta dei Taifali, una tribù vicina ai Goti, che Costantino aveva deportato in Frigia nel 332/333. Quando dopo il trionfo i tre cadono in disgrazia dell’imperatore per gli intrighi di Ablabio, si ricordano di Nicola e pregano Dio che , per i meriti di Nicola, siano salvati. Secondo lo scrittore Nicola appare di notte a Costantino (ed anche ad Ablabio) e con la stessa determinatezza in cui aveva affrontato Eustazio, lo costringe a liberare gli innocenti.
Nonostante che Nicola non fosse uno scrittore e neppure un monaco o un martire, la sua venerazione cominciò a diffondersi nel corso del V secolo, come si evince dalla Vita di un monaco Nicola vissuto 200 anni dopo. In essa si parla infatti sia del martyrion, la chiesa presso Mira che ne custodiva le spoglie, e di una festa (le Rossalie) che era solito tenersi a Mira durante la quale i vescovi della regione si riunivano in concilio. E mentre si diffondeva a Costantinopoli, il suo culto penetrava in Roma, prima nel Passionario romano e poi negli affreschi delle chiese.
Ai primi dell’VIII secolo, in uno stile prettamente bizantino (con continui confronti con personaggi biblici……………………………..
Nell’VIII secolo Michele Archimandrita, non altrimenti noto, si recò a Mira e raccolse le tradizioni locali. Viene anche a conoscenza che in quella città il tempio pagano più importante era quello in onore di Artemide. Si pone quindi all’opera e, sorvolando solo sulla Praxis, ormai a tutti nota, scrive una Vita del Santo in cui altri episodi vanno ad arricchire le notizie biografiche già a nostra conoscenza.
Trattandosi di un monaco, la figura che intende dare al vescovo Nicola è quella di uno che sin dall’infanzia si ispira alle norme canoniche della Chiesa ed in generale alle virtù evangeliche. Alla prima categoria appartiene l’episodio dell’allattamento, che vede Nicola sin dalle fasce osservare il digiuno il mercoledì ed il venerdì prendendo una sola volta al giorno il latte della madre; alla seconda categoria appartiene l’allusione al modo di agire del giovinetto che rifugge la compagnia femminile e in generale le amicizie disordinate.
Tra gli episodi concreti Michele narra la dote alle fanciulle povere, la divina elezione all’episcopato, la distruzione del tempio di Artemide, il grano in tempo di carestia, e due miracoli sul mare. Il primo è l’episodio universalmente noto del giovane che attraverso la finestra di notte getta dei sacchetti di monete d’oro (iconograficamente tre palle d’oro) che permettono ad un padre caduto in miseria di maritare le sue tre figlie. Il secondo mostra Nicola che diviene vescovo secondo le modalità che Dio rivela in sogno ad un sacerdote (indirettamente afferma la sua elezione da laico, in quanto se fosse stato monaco o sacerdote, Michele, che era un monaco, l’avrebbe certamente segnalato). E’ difficile dire se la distruzione del tempio di Artemide sia stata reale o metaforica, ad indicare il suo impegno a sradicare il paganesimo dalla sua città. Allo stesso modo si può dubitare del grano fornito in tempo di carestia sia stato il grano materiale o spirituale, certo è che il contesto corrisponde esattamente alla situazione alimentare della capitale, come viene descritta nella tragica vicenda del filosofo pagano Sopatro (Vita di Edesio, di Eunapio). Lo stesso vale per i due interventi del Santo sul mare per salvare i naviganti in pericolo.
I racconti di Michele Archimandrita sono quindi storicamente importanti, ma vanno accolti con precauzione quanto alla loro storicità effettiva. Non va dimenticato infatti, come dice la Vita dell’altro Nicola (il Sionita) che già intorno al 500 dC. Nicola era per i Miresi il “propator” (progenitore), quello che per i latini era il “nume tutelare” della città, per cui veniva naturale nei secoli attribuirgli vari interventi per il bene della comunità mirese. Quanto di questa tradizione accolta da Michele Archimandrita rifletta avvenimenti storici reali e quanto sia solo una creazione popolare non è facile dire.
Un grado elevato di storicità presentano tuttavia tre dati: Patara come città natale (perché i miresi non avrebbero avuto alcun interesse a farlo nascere lì, invece che nella loro città), la dote alle fanciulle povere (per le sue peculiari caratteristiche, che si mantengono nonostante le successive variazioni nei dettagli), e la sua elezione episcopale, anch’essa fuori dei normali modelli agiografici. Per il miracolo del grano e la distruzione del tempio di Diana si può solo dire che sono in sintonia con le vicende storiche dell’epoca costantiniana e immediatamente successiva.
Solitamente si data la composizione dell’Archimandrita ai primi del IX secolo, relegando anche questo autore in quel vasto mare letterario caratteristico di quel secolo. Si dimentica cioè che Michele afferma senza mezzi termini che prima di lui non c’è in circolazione alcuna vita di San Nicola e che del Santo si conosce solo la Praxis de stratelatis. Ora dato che Teodoro Studita e Metodio di Siracusa tra l’810 e l’830 affermano che enorme è la fama del santo è inevitabile spostare la datazione di Michele Archimandrita al 720 circa (prima della crisi iconoclasta) o al 787 circa (concilio Niceno II) col ristabilimento temporaneo del culto delle immagini.
Si può concludere pertanto che la figura di San Nicola ci è nota attraverso alcuni episodi che hanno un diverso grado di certezza storica: alcuni possono essere ritenuti certi storicamente (senza alcun simbolo), altri aventi un elevato grado di probabilità (segnati con un asterisco *), altri sono dubbi (segnati con un ?):
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Nascita a Patara (*) in Licia nel III secolo.
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Dote alle fanciulle povere (*)
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Elezione episcopale a Mira.
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Distruzione del tempio di Diana (?)
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Grano ai miresi in tempo di carestia (?)
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Partecipa al concilio di Nicea del 325 (*)
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Salva dei cittadini miresi dalla decapitazione.
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Salva Nepoziano e compagni dalla condanna a morte.
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Salva dei naviganti durante una tempesta (?)
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Salva dei pellegrini che si recano al suo santuario (?)